lunedì 11 aprile 2022

il 25 aprile "viziato"

10 aprile 2022

Quest'anno il 25 aprile, per me data fondamentale per la mia identità prima che politica, direi umana, lo festeggio per i fatti miei. 

Ho annusato l'aria un po' in giro, e sento un brutto odore.

Non so la posizione delle realtà in cui mi impegno da sempre, magari ne parleremo, ma comunque  la rispetto a prescindere, questa è solo la mia. E a me ci tengo.

Ho digerito fin le fanfare istituzionali, ma francamente non ho voglia di farlo con chi giustifica i crimini di guerra più atroci in base al suo antimperialismo finto perché a senso unico, come fossimo nel 1954 e non se ne vergogna; con chi spaccia fake news del ministero dell'interno russo come verità, usando il suo stesso linguaggio; con chi vede una realtà dicotomica, 43milioni di nazi di qua e fantomatiche repubbliche "popolari" (?) di là, oplà, semplice semplice, che manco chi parla con le madonnine piangenti; con chi la parola "pace" francamente la usa solo a sproposito: fino a quando la fola "stampamainstreamblablabla" coprirà tutto?

Ma ad essere sinceri, che antifascisti sono gli amici di chi ha macellato in Siria, in Cina, in Bielorussia, ecc, ovunque hanno potuto, né più né meno dei regimi sudamericani anni '70 o dei regimi fascisti propriamente detti?

Se non si è antiautoritari, l'antifascismo è solo una parola senza senso pronunciata da chi non l'ha capita. 

Poi, il mondo va avanti lo stesso, anche se per un anno salto un giro, e amici come prima, con chi vorrà. Altrimenti, pace.

La guerra in Ucraina

 7 marzo 2022

Da qualunque parte la si voglia girare, pur con tutti distinguo colti, intelligenti, acuti e illuminati, le analisi, le letture appassionate, le ricostruzioni storiche, geografiche, ideologiche ed astrofisiche, la guerra in Ucraina è una guerra imperialista e colonialista portata avanti da un regime autoritario che sta invadendo militarmente un altro paese, e contro cui combatte anche una resistenza di popolo.

Spiace per qualcuno, ma è così. 

C'è un aggressore e c'è un aggredito, rispetto ai quali perdono di significato i distinguo strumentali su presunti colori politici (la Russia ha un regime ancor più autoritario di quello ucraino, e i fascisti sono qua e là), ma resta solo la devastazione di una popolazione.

Poi, si può cavillare, criticare, prenderedistanziare, circonstanziare, contestualizzare ciò che si vuole (Odessa, Donbass, Cecenia, Ossezia, Georgia, Siria, ecc), ma se non si vede questo, come antifascisti, pacifisti, antimilitaristi non si è credibili. Anzi, siete parte del problema.

Ciò che sta avvenendo è solo il frutto criminale di nazionalismo e militarismo.

Vederci altro, è solo pessima ideologia ripetuta malamente a memoria ma neanche lontanamente compresa.

Come sta l’anarcosindacalismo. Riflessioni per un dibattito.



5 febbraio 2022

Prima di analizzare lo stato di salute dell’anarcosindacalismo sarebbe bene provare a definirlo e già iniziano le prime difficoltà. È il “fare” sindacato delle anarchiche e degli anarchici? Sì e no: ci sono militanti libertari che preferiscono forme di organizzazione sindacale concertative (vedi i confederali) o sigle sindacali di base che non sono strettamente riconducibili all’agire sindacale libertario e alle sue forme organizzate, che in Italia hanno nell’USI-CIT la sua unica espressione.

Questa è senz’altro una contraddizione – in cui si privilegiano sindacati che contribuiscono all’attuale sfacelo sociale e che hanno modalità organizzative autoritarie, centralizzanti o leader “a vita” – e/o una manifestazione di debolezza del movimento – si preferiscono certune sigle altre perché ritenute più efficaci – e/o un derivato di diatribe storiche.

Molto più realisticamente, possiamo intendere per anarcosindacalismo quell’agire, legato alle lotte – o almeno, al tentativo di autodifesa – di classe, che è caratterizzato da modalità organizzative orizzontali e si prefigge, in astratto, un obbiettivo di trasformazione sociale radicale in senso libertario. Ciò detto, veniamo alla situazione attuale, che non è certo molto rosea.

Innanzitutto, la diaspora di molt* militant* in altre sigle toglie senz’altro energie ed intelligenze importanti al sindacato libertario. Potremmo arrovellarci per giorni sui motivi di queste scelte ma risulterebbe foriero di polemiche e avvitamenti. Però resta il fatto. In secondo luogo, l’anarcosindacalismo risente inevitabilmente della situazione più complessiva che vede tutte le istanze di classe, più o meno annacquate, in posizione di forte arretramento, a causa dello strapotere della controparte padronale e politica.

A questo siamo arrivati con progressiva gradualità, a partire dalla fine degli anni ’70, in cui il sindacalismo confederale non ha saputo reagire alla reazione confindustriale, la tendenza si è poi accelerata negli ultimi vent’anni abbondanti, in cui il paradigma liberista ha trovato spazio politico, sociale e culturale per distruggere prima ogni prospettiva di trasformazione del sistema politico ed economico, poi per annichilire ogni istanza di classe. Se chi poteva contare su un consenso vasto è stato sconfitto, chi invece era già più minoritario e oltretutto frastagliato da scelte altre ha risentito ancora di più della sconfitta.

L’USI infatti, dalla sua riorganizzazione fino ai primi anni 2000, è stata un’entità meritoria ma, va detto con umiltà, numericamente esigua e scarsamente presente nel mondo del lavoro. C’erano senz’altro alcune realtà interessanti nella sanità soprattutto milanese e anche triestina (e non solo) ma, il resto, era essenzialmente a macchia di leopardo e intervento più politico che sindacale, se non testimoniale.

Gradualmente, dagli anni 2000, qualcosa è cambiato, senza per questo millantare masse che non ci sono o vittorie trionfali. Una generazione di nuovi militanti, a partire dai nuclei già presenti a Milano o riformatisi in Emilia e Toscana, ha iniziato a svecchiare il sindacato, nelle forme organizzative interne, nell’assunzione di responsabilità, nell’apertura a stimoli e interventi nuovi – si pensi a Solidarietà Autogestita – ma, dove si era in presenza di nuclei di lavoratori reali e radicati, a porre in modo centrale le questioni di classe in alcune aziende e settori: la Sanità senz’altro, ma soprattutto nelle cooperative Sociali e, da qui, cercando di intervenire in altri ambiti come possibile.

Questo protagonismo ha investito pure l’organizzazione internazionale, tanto che nel 2018 a Parma, concretizzando un percorso iniziato qualche anno prima, si è costituita la nuova Internazionale anarcosindacalista e sindacalista rivoluzionaria, la CIT, unendo i maggiori sindacati anarcosindacalisti mondiali ad altre realtà prime esterne, tra cui l’IWW-NORA.

Infatti, da alcuni anni, la storica AIT era diventata un organismo totalmente burocratico, un “votificio” in cui un blocco di potere costituito da sezioni “nazionali” di 6-20 persone (sic), unite tra loro, di fatto impediva ogni dibattito e intervento sindacale, vivendo in un clima di paranoia, settarismo contraddistinto da continue espulsioni.

Quando la FAU tedesca fu espulsa a causa di una lotta congiunta con la SAC svedese – a sua volta espulsa anni prima – le organizzazioni più numerose e radicate – CNT spagnola, FAU, USI, FORA argentina – ritennero definitivamente terminato questo percorso, fatto di tante bandierine ma poca sostanza.

I limiti oggi restano e sono tanti. Ogni spazio di intervento, già ridotto, è fortemente limitato da accordi che escludono un sindacato come l’USI, dalla difficoltà nell’ottenere vera rappresentanza aziendale, dall’impossibilità di partecipare alle elezioni delle RSU nel privato, da leggi sempre più restrittive. Se USI piange, non è che il resto del sindacalismo di base rida: le difficoltà sono le medesime.


La differenza la fanno due aspetti: da un lato la consapevolezza che “offrire servizi” ai lavoratori è necessario e inevitabile se si vuole essere utili e credibili, dall’altro i differenti modelli organizzativi: va da se che chi ha l’obbiettivo di lavoratori/trici coscienti e che si muovano sempre senza delegare ma in prima persona, fa più fatica rispetto a chi propone soluzioni preconfezionate. Se il secondo aspetto è inevitabile per USI, non volendo tradire metodi e principi, sul primo invece ci si sta lavorando, e non è un caso che laddove vi sia un’organizzazione territoriale reale USI questa goda di consensi – relativamente – estesi e credibilità.

La pandemia ha reso il quadro ancora più evidente perché, a causa dell’insicurezza sanitaria, gli spazi di manovra si sono ulteriormente ristretti e, per un sindacato che vive di intervento in prima persona, di presenza “fisica”, di azione diretta, ciò è ancora più penalizzante.

A parere di chi scrive il sindacalismo di base tutto durante i primi mesi di pandemia ha spesso rappresentato localmente uno dei pochissimi argini dal basso al caos totale per molti lavoratori: ci si è attivati per dare informazioni, per pretendere il rispetto di diritti fondamentali (tra questi la sicurezza), per dare aiuto concreto. Insomma, il sindacalismo di base, nonostante indubbi limiti, ha avuto un ruolo più importante di realtà politiche che sono rimaste di fatto spiazzate.

Se il capitale, superato lo shock iniziale, è riuscito presto a riorganizzarsi per affrontare la pandemia trovando anche situazioni di ulteriore vantaggio, il mondo dell’antagonismo politico, sociale e sindacale continua a muoversi in un contesto sempre molto difficile. L’USI nel piccolo ha rispecchiato ciò che si è manifestato sul piano più vasto, con tutta la sua generosità, limiti e contraddizioni.

Ora, che fare? In primo luogo, c’è da crescere: certo come iscritt* ma in primo luogo come credibilità tra i lavoratori: se non si vogliono CAF e patronati interni per motivazioni ideologiche, si facciano convenzioni, perché inutile raccontarsi balle: tutt* abbiamo bisogno di sostegno in questi aspetti, e quindi andrebbero affrontate e gestite le modalità di intervento. È analogamente importante continuare il percorso di apertura lontani da ultrapurismi parolai e da logiche settarie: la collaborazione – mai servile – con gli altri sindacati di base, così come si è visto nell’ultimo sciopero generale di ottobre, lo dimostra. In ultimo, vanno affrontati con coraggio i nodi politici dirimenti del periodo: tra questi la libera e reale rappresentanza nel mondo del lavoro, scoglio su cui il sindacalismo di base sbatte inesorabilmente, oggi inesistente perché blindata da leggi neanche lontanamente democratiche volute da stato e padroni in interessata sintonia col sindacalismo concertativo.

La vera scommessa però è fare sì che gli ideali e le pratiche libertarie vengano avvertite come non solo importanti ma utili, in costante sintonia tra pensiero e azione. Solo così, ci si potrà difendere meglio, e contrattaccare, dalla voracità di Stati e padroni. La volontà non manca.

L'attacco alla CGIL

10 ottobre 2021

Cosa penso della CGIL penso lo sappiano persino i sassi.

Io differenzio pure tra organizzazione e singoli aderenti: critico QUEL sistema (intrallazzato col potere economico e politico) non tanti delegati, lavoratrici e lavoratori, bravi/e e impegnati/e...sebbene con scelte -legittime- diverse dalle mie.

Ieri però la CGIL non è stata attaccata perché firmano contratti capestro, perché pretendono leggi contro la libera rappresentanza sindacale, perché hanno trasformato il lavoratore da militante a cliente. 

Ieri la CGIL è stata attaccata in una manifestazione di altro genere.

Ora, sono mesi che nel mio piccolo alcuni "tastieristi" mi/ci fanno mangiare tanta... cacca gratuita, ingiusta, orribile, perché ci vogliono imporre di seguirli nella loro crociata e a seguire i loro guru. Un autoritarismo devastante, che ha resettato amicizie ventennali, a causa di un fanatismo da brividi.

Io/noi (intendo come USI) invece vogliamo che tutti/e possano essere rispettati per ciò che pensano (pure i no GP, certo, quando hanno argomenti validi e non nascondono dietro ad esso negazionismi e complottismi irrazionali), senza accettazione forzata delle nuove religioni.

Da sempre, denunciamo pure la natura pericolosamente ambigua di certe piazze, parole, slogan, interclassisti,  fuorvianti.

Chi, per raccattare qualche consenso e tessera in più, ha coltivato questa ambiguità, inizi a riflettere sull'irresponsabilità di certe amicizie e "compagni di strada".

C'è chi lotta coi suoi compagni e compagne, altri con chi, a braccio teso, urla "libertà"... di fare ciò che gli pare.

E spero che prima o poi la vergogna di avere scomodato stelle gialle, fascismo, nazismo, campi di concentramento, in un sussulto di dignità, li possa sommergere.

Perché la credibilità personale, prima ancora che politica e sindacale, è merce preziosa.



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16 ottobre 2021

Oggi manifestazione antifascista di un sindacato che non apprezzo particolarmente (anzi). 

Ci sta, li hanno devastato la sede, cosa devono fare? solidarizzo per forza.

Ho letto tantissimi commenti in sti giorni sui fasci, sulla polizia connivente,  ecc.

I fasci restano un grande problema...ma: perchè avere paura di guardare il contesto? aprire gli occhi, non accontentarsi di ciò che a noi antifascisti fa piacere e rassicura?

Ebbene: il contesto -sfondo obbligato per ogni analisi seria- non dice che 30 fasci sono partiti dalla sede e hanno devastato la camera del lavoro così. Non dice che lavoratori si sono ribellati a contratti capestro e limitazioni libertà sindacali (la devastazione resterebbe orribile a prescindere).

Il contesto dice che da mesi, prima no mask, poi io apro, poi no-vax, adesso no gp, i fasci organizzano senza nome (ma con tanti tricolori nero bordati) manifestazioni con gente a essere generosi "confusa", politicamente ambigua, culturalmente antiscientifica. 

Sabato scorso erano in una precisa piazza, hanno fatto precise affermazioni tra applausi scroscianti e, seguiti da una precisa folla, hanno fatto ciò che dovevano fare. Perchè non doverlo dire, non volerlo vedere?

Ah, si è forse impopolari coi social? 

Non c'è critica reale a Big Pharma, che si accompagna solo alla richiesta di vaccini liberi per tutti in tutto il mondo, allo sfascio sanità: no, a braccio teso si urla "libertà!"... di non vaccinarsi in pandemia.

Ieri, dietro a un leader portuale (embè?) che si dice nè di destra nè di sinistra (ricorda qualcosa?), hanno seguito uno sciopero di una sigla mai sentita prima, di un tizio di Eboli che viene da esperienze elettorali col MSI e Fiamma Tricolore.

Continuo a non vederci alcuna istanza di classe, libera e liberante in questa "protesta", e mi atterrisce vedere ex compagni/e non scioperare l'11 col sindacalismo di base, e oggi partire alla crociata violenta e fanatica contro la indubbia menata dell'esibizione di un certificato vaccinale in pandemia nei luoghi affollati, le cure alternative di un avvocato o blaterare di fascismo come se non fossero drammaticamente ridicolo, inseguendo ogni sito complottista.

Il mio triennio da segretario nazionale dell'USI

 21 settembre 2021

Il prossimo fine settimana ci sarà il congresso USI e si concluderà ufficialmente la mia esperienza come segretario nazionale dell'USI, lo storico e... futuro sindacato libertario.

Che dire? tanto lo dirò al Congresso. 

Qui basti solo dire che è stata l'esperienza più alta della mia vita libertaria, dopo trent'anni di militanza. 

Da subito ho voluto lavorare allargando ogni decisione ad ogni componente segreteria, esecutivo, commissioni di lavoro, ed è stata un'ottima scelta. Ho conosciuto e collaborato con gente che sapevo straordinaria (eh sì, essere libertari attivi/e in questi decenni devi essere fuori dal comune!), abbiamo fatto un sacco di cose e credo USI sia cresciuta negli ultimi anni, continuando quanto di buono era già partito da tempo da chi mi aveva preceduto. Credo che nell'organizzazione interna, nell'intervento specificatamente sindacale, nella credibilità complessiva, sia cresciuta dagli anni di testimonianza. E chi assumerà i nuovi incarichi ci farà migliorare ancora di più.

La mia proverbiale fortuna ha fatto sì che coincidesse con un periodo storico pesantissimo (e con le inevitabili discussioni in merito degli ultimi mesi che attraversano ogni contesto) ma posso dire che USI è sempre stata attiva e presente anche quando era difficilissimo farlo. E la pandemia finirà e si tireranno le somme.

L'USI che piace a me non è paranoica, settaria, chiusa, retorica, ma, pur basandosi su una fortissima componente identitaria non negoziabile, è attiva, aperta, plurale, conflittuale e soprattutto credibile. 

LUNGA VITA ALL'UNIONE SINDACALE ITALIANA!

Vaccini e dittature

16 agosto 2021

Non ho mai scritto post su vaccini e c., perchè ci sono già dottoroni dell'università di FaceBook, dottorato su Byoblu, che ci illuminano. 

Non mi interessa quindi parlare della necessità del vaccino o no (e dei temi correlati), la mia idea ce l'ho, ma non è importante.

Però 'sta cosa della dittatura, dei paragoni con fascismo e nazismo, non si può più sentire. 

Dimostra non solo un'ignoranza storica abissale, maldestramente nascosta da slogans, ma una stupidità pericolosa, perché banalizza fascismo e nazismo (ma anche l'idea stessa di dittatura, quella reale), di fatto sdoganandoli con paragoni che non danno giustizia di quel che furono realmente. 

Qualche anno fa, bastava frequentare la gente "normale", i bar "normali", in un contesto sociale non certo rivoluzionario, c'erano certo i fascisti, ma erano quelli, quattro gatti compatiti pure da chi era di destra, si sapeva, la comunità aveva i suoi anticorpi "naturali". Ma certe espressioni, certe frasi (penso ai migranti, da affogare in mare, ecc...) neanche i fascisti le dicevano, c'era un certo senso della vergogna, del rispetto umano. 

Poi, piano piano, tutto è stato banalizzato e centrifugato, in primis dalla classe politica ("i ragazzi di Salò"), e adesso vale tutto: e quindi a livello di massa il fascismo fu un regime "come altri", con il corollario di disumanità che, in crescendo lo accompagna e lo legittima.

Fascismo e nazismo furono regimi in cui si imprigionava, si censurava (ma per davvero: non si potevano scrivere decine di post lagnosi su FB gridando... alla censura, per esempio), si uccideva, si sterminava. 

Basterebbe spegnere i social e leggere un libro di storia, magari cercando di capirlo. 

Basterebbe rileggere le testimonianze di chi quei regimi li ha subiti, e forse subentrerebbe una certa vergogna a tirare in ballo ebrei, stelle gialle e lager.

Poi ognuno la pensi come ritiene, l'epoca è confusa assai e ci possiamo fare ben poco, ma restituiamo un senso alle parole...e all'intelligenza.

lunedì 4 maggio 2020

Il senso di ciò che facciamo... anche in questo periodo

articolo uscito su Lotta di Classe - 19 aprile 2020


Che viviamo tempi grami e difficili lo sapevamo già. Ciò che non potevamo immaginare è che dal 24 febbraio di quest’anno, prima in Lombardia ed Emilia e via via dappertutto, le nostre esistenze potessero cambiare così drasticamente, e in peggio: diffusione del Covid-19, aumento enorme dei morti rispetto ad analoghi periodi precedenti, attività lavorative chiuse, persone chiuse in casa, stato di polizia effettivo nel consenso pressoché unanime.
Venivamo da un periodo che se era possibile ci aveva già fatto vedere tutto il peggio: diritti dei lavoratori sempre più attaccati (e non dobbiamo solo ringraziare le destre e i padroni, ma anche le cosiddette “sinistre” (?) coi loro sindacati conniventi); un consenso sempre più evidente per il fascismo, in una narrazione distorta e ignorante di ciò che fu in realtà; cementificazione continua; sfruttamento; sostanziale menefreghismo della più importante questione del momento –la crisi ambientale-, perché profitto e ambientalismo non possono andare d’accordo; massacri nell’indifferenza di centinaia di migliaia di persone (vedi in Kurdistan, in Siria, ecc) ed è normale; il razzismo più becero che gioisce senza alcuna vergogna per la morte di esseri umani.
Dall’esplodere della pandemia, la nostra esistenza è ancor più peggiorata.
Sul piano sindacale, chi fa sportello assiste ad una crescita esponenziale dei casi: le situazioni problematiche personali sono aumentate, perché per la prima volta davvero nell’età repubblicana, la paura reale della miseria non è più così lontana per gran parte della popolazione, data la pesantissima crisi economica, la chiusura dei posti di lavoro, il ricorso enorme a forme di sussidio ed ammortizzatori sociali, che non sempre sono anticipati e sui quali non si hanno garanzie durature. La realtà dice che oggi sempre più persone dipendono dall’aiut(in)o dello stato, e questo ha un costo, politico e sociale prima ancora che economico.
Ma uno degli aspetti più pesanti è il tentativo di annullare la libera rappresentanza e l’azione sindacale: giustificato dall’emergenza sanitaria, diritti che si pensavano assodati (uno per tutti: il lavorare in sicurezza) sono stati di fatto spudoratamente messi in discussione in virtù dei bisogni della produzione industriale. Se la mancanza di sicurezza sul lavoro anche prima era già una realtà di fatto (pensiamo all’incessante stillicidio quotidiano di morti sul lavoro; pesiamo a situazioni come ad esempio l’Ilva), almeno il sistema “democratico” liberista cercava di ammantarlo con leggi ad hoc o con un minimo di dibattito, oggi pure questa coperta è saltata: chi comanda è Confindustria, con buona pace di chi si ammanta di illusioni politiche sinistrorse. Se non fosse stato per la decisa reazione di milioni di lavoratori, che ad un certo punto hanno messo in difficoltà gli stessi sindacati confederali che non erano più in grado, sui posti di lavoro, di gestire questo malcontento, probabilmente pochissime aziende avrebbero chiuso, tra quelle che lo hanno fatto.
Ma l’illusione democratica, come si è visto, è stata squarciata pure rispetto al diritto della libera rappresentanza: in Italia, e noi lo denunciavamo già prima ma ora il quadro appare più netto e si fa fatica pure a cogliere quelle rare e meritorie “finestre” precedenti, nel mondo del lavoro NON ESISTE alcuna democrazia: non è uno slogan. Sempre con la giustificazione dell’emergenza, dapprima sono stati annullati scioperi (tra i quali, l’8 marzo) e per carità, molto probabilmente è stato corretto evitare assembramenti. Ma via via il quadro si è definito ancora meglio: ed allora ecco che ai vari tavoli di gestione dell’emergenza sono stati convocati solo determinati sindacati (i confederali) e praticamente col solo compito di ratificare e addolcire la pillola ai lavoratori dei vari provvedimenti presi. Il sindacalismo di base, pressoché ovunque, è stato bypassato, con somma beffa per chi, come USB, guardando al sindacalismo confederale ed ambendo a diventare la quarta confederazione, nel gennaio 2014 ha “strappato” rispetto agli altri sindacati di base, ed ha sottoscritto un accordo sulla rappresentanza che baratta i diritti di essa con ulteriori limitazioni al diritto di sciopero. A dimostrazione che non basta essere più radicale dei sindacati concertativi per essere realmente “di base”: questo è un modello organizzativo ed una prospettiva di azione ed obbiettivi. Ebbene, in questa fase, neanche firmare i “loro” accordi su una (parziale) rappresentanza è servito. Oggi in Italia non esiste il pieno diritto da parte dei lavoratori ad esprimere liberamente la propria volontà sindacale, perché questa non viene riconosciuta e, se c’è, si cerca in ogni modo di vanificarla. Solo lottando quotidianamente sul posto di lavoro, autorganizzandosi coi propri colleghi, è possibile sperare di invertire questa situazione.
In questo quadro, il sindacalismo concertativo ha confermato di essere troppo legato al mondo politico ed economico per poter ambire ad un ruolo diverso rispetto alla gestione dei lavoratori e ad una (sempre meno estesa) legittimazione di scelte altrui, e di essere realmente un ingranaggio funzionale alla prosecuzione di un determinato sistema, nonostante la dignità di talune situazioni e personaggi a livello territoriale.
Piuttosto, il sindacalismo di base, tutto, poteva e doveva ambire ad un altro ruolo, ma non ha saputo cogliere il momento, presentandosi ancora una volta debole e frammentato, ricercando in alcuni casi più il proprio tornaconto che una presenza determinata e compatta su punti-chiave comuni. Anche nell’analisi, molto spesso non si è andati più in là della riproposizione di vecchie formule ormai stantie, quali ad esempio statalizzazione e nazionalizzazione, come se ipotesi da neo-capitalismo di stato fossero positive e non fosse invece lo stato corresponsabile (insieme al padronato) della situazione venutasi a creare. Affermare, ad esempio, che vada privilegiata esclusivamente la sanità pubblica invece di quella privata è una verità assoluta e deve diventare una base per tutte le nostre prossime mobilitazioni, proporre invece forme quasi sacralizzate del significato di potere statale significa essere fuori dalla realtà, legittimare successivi e conseguenti aumenti repressivi anche in funzione anti-operaia e non aver capito dove sta il problema. Infatti, puntare alla gestione pubblica delle risorse è una cosa, mitizzare la centralizzazione statale un’altra: non sono concetti di lana caprina, sono proprio modelli concettuali e pratici di riferimento che differiscono. Per fortuna, comunque, va sottolineato come un po’ ovunque, a macchia di leopardo, ci siano state realtà sindacali che hanno cercato di resistere: i diritti sono conquiste e non gentili elargizioni, e vanno difesi. Da qui dovremo cercare di ripartire, aldilà delle varie sigle. Con tutte le critiche che possiamo fargli e farci, solo il sindacalismo di base ha rappresentato comunque un argine in questo periodo, ben più di un antagonismo politico – libertario e comunista in tutte le sue accezioni- che di fatto è risultato totalmente irrilevante nella difesa di classe, quantunque sottoposto a limitazioni oggettive.
Sul piano sociale, la situazione è stata analogamente drammatica: una nazione intera chiusa in casa. Il sottoscritto non ha alcuna competenza medico-sanitaria, per cui, umilmente, ritengo che seguire i dettami degli esperti del settore sia saggio ed opportuno, anche se è necessario individuare il confine tra tutela della sicurezza collettiva ed eccessi frutto di confusione e alla lunga forieri di situazioni insostenibili. Il Governo per alcuni è stato coraggioso, per altri confuso e debole: senz’altro, è innegabile l’enorme difficoltà della gestione di un evento simile, fossimo stati anche in una Repubblica Libertaria. Allo stesso tempo, complottismi di variegata natura restano quel sono: fenomeni tra il ridicolo ed il pericoloso, che oltretutto minano indubbiamente, agli occhi della gente che tende a generalizzare, la credibilità di chi, invece, due riflessioni critiche vorrebbe comunque farle. Attenzione poi che la questione-sicurezza non diventi un pretesto per provare a limitare ulteriormente le libertà personali e collettive: già oggi si parla di app sugli spostamenti, in un quadro complessivo in cui vivere in una realtà orwelliana, che già è così sotto molti aspetti, rischia realmente di diventare ancora più assodato e paralizzante. A noi il compito di resistere sotto questo aspetto e di pretendere fortemente che il rispetto del benessere collettivo non diventi un pretesto per annullare ogni libertà, in cui, come tante apine, si vive relegati perennemente in casa e si esce solo per lavorare.
Va sempre ricordato, e qui per fortuna pare ci sia almeno in questa fase diffuso consenso, che l’elevato numero di morti e la più complessiva drammaticità sociale, è stata una conseguenza dei tagli alla sanità, sia nelle strutture che nel personale: se, ad esempio, nei primi anni’80 (al netto di inefficienze, sprechi e corruzioni varie…ah, non è cambiato niente?) i posti letti negli ospedali erano più di mezzo milione, oggi sono poco più di 200.000; allo stesso tempo la spesa destinata alla sanità corrisponde alla soglia minima (6,5% del PIL) di quella che l’OMS ritiene il limite per una sanità minimamente funzionale. Negli ultimi anni i tagli al settore sono stati di svariati miliardi di euro, nel silenzio diffuso. Ed è facile per noi libertari denunciare che somme stratosferiche costantemente vengono elargite al ministero della difesa, per inutili armamenti sempre più sofisticati. Dirlo oggi, pare facile: ma ieri, quanti concordavano che una simile distribuzione, oltre ad essere dannosa, era pure umanamente immorale e immonda? E quanti saremo, a denunciarlo domani?
I vari Governi, senza voler essere retorici, sono stati quindi la causa prima di questo sfacelo, non la soluzione saggia e coraggiosa come ce li vogliono oggi far apparire: nessuno fino a ieri dell’attuale governo ha mai messo in discussione questo modello, anzi. E, pensando al domani, ecco la copertura delle responsabilità: l’unico strumento reale per affrontare il male è, di nuovo, non una critica complessiva al sistema in cui viviamo ma, come per l’ambiente, è da attribuire ai comportamenti individuali. Per cui, nessuno dei politicanti dice che le spese militari vanno da oggi eliminate e destinate alla sanità, ma si preferisce chiudere le persone in casa (e ci può stare, intendiamoci, per un certo periodo e in un’ottica realmente virtuosa e responsabilizzante) ed additare a soli pericoli chi passeggia pur rispettando le distanze sociali, chi va in montagna da solo, chi coltiva il suo orto, ecc. La colpa non è mai del sistema che crea sfaceli, ma dei comportamenti dei singoli. Intendiamoci: che ognuno di noi debba avere comportamenti civili e responsabili è da dare per assodato, ci mancherebbe!, soprattutto per chi ha scelto di vivere secondo determinati ideali e comportamenti. Ma ugualmente, è stato ampiamente dimostrato che ad esempio per quanto riguarda l’ambiente, è il sistema industriale capitalista con le sue emissioni di CO2 e polveri sottili quello che ci ammazza, più che il tizio che butta una cartaccia per terra e si meriterebbe una pedata nel sedere. Lo stesso dicasi per questa emergenza: si muore perché mancano medici ed attrezzature mediche, perché sono stati tagliati ospedali e pronto soccorsi, perché il settore è stato selvaggiamente privatizzato, non certo perché il pensionato esce a coltivare l’orto o il podista fa una corsetta!
Un altro aspetto drammatico è stato che, di nuovo, si sta cercando di confondere le devastazioni prodotte dal sistema politico-economico attuale facendo volgere le attenzioni popolari in nuove forme di nazionalismo: dobbiamo essere tutti “uniti”, cantare inni e sventolare tricolori, perché solo così ce la faremo. E in questa astrusa unità di dominanti e dominati, ecco il vicino di casa che insulta il podista, ecco lo stigma per chi prova ad articolare riflessioni diverse da quelle mainstream (e non ridicol-complottarde) ma, si diceva una volta, “di classe”: NON SIAMO TUTTI SULLA STESSA BARCA, se il virus è democratico e non distingue, responsabilità e difficoltà erano e sono diverse, drasticamente diverse. Il nazionalismo è da sempre il virus che viene strumentalmente diffuso in situazioni d’emergenza per resettare tutto, confondere la gente, cercare improbabili comunioni d’intenti e trovare improbabili capri espiatori e soluzioni.
In questo panorama stiamo noi, con le nostre contraddizioni, con i nostri limiti, ma anche con la nostra identità irriducibile, con le nostre caratteristiche, con la nostra determinazione. USI è un sindacato piccolo, ma sta crescendo: la nostra forza reale è che chi ci ha conosciuto, di noi si fida, sa che noi non tradiremo. Parliamo di sindacati di base, ebbene: da noi in USI niente è deciso se non passa da assemblee degli iscritti/e, dai congressi; nessuno di noi guadagna un euro; tutti gli incarichi sono a rotazione continua (ben lontani quindi da certe “monarchie” di altre sigle): noi siamo ciò che diciamo di essere. Continuiamo a dirci libertari, anarcosindacalisti, perché abbiamo continua conferma del fallimento di ogni ipotesi ideologica e pratica statolatra e neoliberista: un altro mondo è possibile, si diceva, e a questo orizzonte noi guardiamo, ma non con gli occhi ingenui e vanamente retorici: fare sindacalismo, anche e soprattutto come lo facciamo noi, significa sporcarsi le mani, cercare di comprendere le contraddizioni del presente e tenere saldo il timone, ma anche migliorarsi, dare soluzioni concrete credibili a chi ce lo chiede, non parole e frasi fatte. Quindi autorganizzazione vera, sportelli sindacali autogestiti, avvocati quando serve, mobilitazione diretta e continua, solidarietà: queste le nostre armi.
Nonostante le enormi difficoltà del periodo che hanno pesantemente condizionato l’azione di un sindacato come il nostro che fa dell’assemblearismo e dell’azione diretta la sua natura, abbiamo provato generosamente ad autorganizzarci un po’ ovunque: se pensiamo ai settori più colpiti, innumerevoli sono state le nostre prese di posizione e mobilitazione nelle coop. sociali e nei vari ospedali dove siamo presenti. O, ancora, continuando l’attività di supporto degli sportelli sindacali e, come a Firenze e a Milano, attivandosi direttamente nel campo della solidarietà concreta.
Siamo in un periodo particolare dell’anno, quello che più ci piace, quello del 25 aprile e del Primo maggio, perché ci ricorda la fine del fascismo (anche se non è mai morto davvero), le lotte dei lavoratori e delle lavoratrici, il nostro eroismo, la nostra storia, i nostri ideali: questa è l’unica identità in cui ci riconosciamo, non quella dei padroni e dei governanti! Il nostro lavoro è sempre più difficile, perché dobbiamo contare solo su noi stessi, ed in un contesto contrassegnato da passività sociale e delega, è sempre più difficile trovare compagni/e che solo per una forte idealità hanno voglia di sacrificare tempo ed affetti. E’ difficile per noi che abbiamo nel cuore e nel cervello un mondo diverso continuare a sognare e a resistere. Ma non abbiamo alternativa, anche perché non riusciremmo a non farlo.
A noi piace ciò che facciamo, e continueremo a farlo. Questo è il senso del nostro agire quotidiano, e per questo non saremo mai sconfitti.